L’alimentazione ricopre un ruolo fondamentale anche nel rapporto con l’oncologia, sia in fase preventiva, sia quando è insorta una patologia tumorale, tanto che oggi è considerata parte integrante della terapia, per aiutare il paziente a sentirsi meglio, cercando di aiutarsi nella prevenzione delle recidive e limitando gli effetti collaterali delle cure.
Diversi studi scientifici hanno dimostrato l'utilità di una dieta particolare nella prevenzione delle ricadute del cancro al seno in donne già colpite; successivamente si è valutata l'utilità della stessa dieta nella prevenzione primaria, ovvero in chi non ha ancora sviluppato la malattia.
Si può ridurre il proprio rischio di tumore del seno agendo sul metabolismo e in particolare combattendo la cosiddetta “sindrome metabolica”, una malattia sempre più diffusa nel mondo occidentale che combina sovrappeso, pressione, glicemia o colesterolo elevato. Chi soffre di sindrome metabolica regola male i livelli di insulina nel sangue, l’ormone che consente di consumare gli zuccheri. L’innalzamento di questi livelli provoca il rilascio di altri ormoni e fattori di crescita che a loro volta fanno aumentare il rischio di tumore del seno. Ecco quindi chiarito (almeno in parte) il legame tra questa sindrome e il cancro della mammella, confermato anche da studi che indicano come il rischio di riammalarsi dopo un primo episodio di tumore sia cinque volte più alto in donne che soffrono di sindrome metabolica.
La regola generale quindi, che vale non solo in fase in preventiva, ma anche con tumore conclamato, è di seguire un’alimentazione che cerchi di tenere bassi i livelli di insulina.
Un’alimentazione che tenga bassi i livelli di insulina, tra i principali fattori di rischio per lo sviluppo del tumore, è quella che segue il "modello mediterraneo”, e dovrebbe essere prevalentemente vegetale e a base di prodotti non industrialmente raffinati.
Si tratta di:
limitando al massimo gli alimenti ricchi di grassi saturi, che sono un fattore di rischio, ovvero carne rossa, latte e formaggi, così come l’alcool, privilegiando il pesce come fonte di proteine animali.
Un discorso a parte riguarda la soia, infatti ci sono dei dati che devono essere ulteriormente approfonditi, ma che suggeriscono che introdurre con la dieta piccole quantità di soia, ad esempio sotto forma di tofu, miso o tempeh, possa essere d’aiuto, per la presenza dei fitoestrogeni (presenti anche nelle alghe, nei semi di lino, nel cavolo, nei legumi, nei frutti di bosco, nei cereali integrali), molecole vegetali simili agli estrogeni femminili. Il motivo per cui i fitoestrogeni della soia possano aiutare nel tumore della mammella non è probabilmente unico. In base però ai dati scientifici presenti sembra emergere che una dieta ricca di fitoestrogeni offra qualche protezione anche a chi ha già avuto una diagnosi di tumore.
Inoltre vanno limitati gli zuccheri raffinati, poichè gli zuccheri semplici non devono superare il 5% delle calorie giornaliere. È facile capire come, a maggior ragione all’interno di un’alimentazione per tumore al seno, non ci sia spazio per molti alimenti che contengono zuccheri, compresa la frutta. Il 5% di circa 2000 calorie giornaliere corrisponde a 25 gr di zucchero al giorno complessivi, che non derivano solo dalla frutta; per cui rimane spazio per circa 2 frutti al giorno, e poco altro. Se si segue una dieta che rispetta questi parametri complessivi, anche l’uso della frutta non ha controindicazioni.
I benefici dell'esercizio fisico sono ormai noti: l'attività fisica svolta sia prima sia dopo i trattamenti e la diagnosi di tumore della mammella è un fattore di protezione contro le recidive; praticata con costanza riduce del 12 per cento il rischio di ammalarsi per le donne di qualunque età e peso corporeo.
L'azione anticancro dell'attività fisica deriva da diversi processi: aiuta a modulare il sistema immunitario da cui dipende, a sua volta, la modulazione della malattia oncologica; aiuta a controllare il peso corporeo, che ha una relazione strettissima con il rischio di tumore; influenza aspetti del metabolismo legati ai meccanismi di insulino-resistenza; ha effetti benefici sulla modulazione del sistema nervoso autonomo che ha correlazioni con il controllo immunologico. Inoltre esiste un effetto virtuoso per cui chi svolge attività fisica o inizia a praticarla in genere tende ad adottare uno stile di vita salutare: mangia in maniera più corretta, non fuma, beve poco alcool.
L'esercizio fisico più idoneo è quello di tipo aerobico detto di "endurance", ovvero tutte quelle attività che fanno muovere il corpo intero: correre, camminare, andare in bicicletta, nuotare. Si suggeriscono almeno 30 minuti di attività fisica aerobica al giorno per 5 giorni a settimana, con intensità moderata ma tale da lasciarci alla fine un po' sudati.
Siccome l'effetto benefico è indipendente dall'età e dal "curriculum" sportivo delle donne, non è mai troppo tardi per cominciare a muoversi.
Viene definita così la diagnosi effettuata nelle fasi iniziali di sviluppo della malattia. L'individuazione precoce di un tumore offre non soltanto maggiori possibilità di cura, ma permette anche di attuare interventi meno aggressivi e di assicurare una migliore qualità di vita.
Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad una lenta ma progressiva sensibilizzazione delle donne per quanto concerne la prevenzione del carcinoma della mammella. Soprattutto tra le donne più giovani è sempre più diffusa l’abitudine a sottoporsi regolarmente a controlli senologici. La popolazione femminile più anziana è, invece, ancora troppo spesso legata a retaggi culturali che le fanno assumere un atteggiamento di diffidenza nei confronti di visite e metodiche strumentali che potrebbero mettere in evidenza “qualcosa” che psicologicamente si preferirebbe tenere nascosto. Stampa e mezzi di comunicazione hanno sicuramente contribuito alla diffusione dei programmi di prevenzione per la diagnosi precoce del cancro mammario; va ricordato, però, che l’informazione deve essere posta in maniera corretta e completa.
La recente osservazione di una riduzione significativa e consistente della mortalità per carcinoma mammario conferma che, oltre al miglioramento della sopravvivenza grazie a terapie più efficaci, si ottiene un reale beneficio dal miglioramento complessivo della diagnosi, anche al di fuori dei programmi di screening organizzati. Ne consegue che sarebbe auspicabile che ogni donna prendesse coscienza a partire dai 30 anni di età del rischio di sviluppare un tumore mammario e della necessità di sottoporsi regolarmente ad un controllo senologico.
È un intervento programmato di prevenzione secondaria (diagnosi precoce), effettuato dal servizio sanitario e rivolto a un ben definito gruppo di persone (popolazione bersaglio), a cui viene offerto attivamente un test di facile esecuzione, ripetibile, innocuo, di basso costo e gratuito. Viene inoltre garantita gratuitamente anche la successiva assistenza diagnostica e terapeutica, qualora si renda necessario. I programmi di screening sono sottoposti ad accurati controlli di qualità in tutte le fasi. I risultati di tali controlli sono a disposizione presso il Centro o Unità di screening in ogni Azienda Sanitaria.
È un intervento sanitario che mira a mettere in evidenza la presenza di una eventuale malattia nelle sue fasi iniziali. L’individuazione delle fasi precoci della malattia può permettere di intervenire tempestivamente con le cure più appropriate, facilitando la guarigione e riducendo la mortalità. È proponibile solo qualora ne sia stata provata scientificamente l’efficacia in termini di riduzione della mortalità per quella determinata malattia e/o dello sviluppo di nuovi casi. Lo screening è un modo per selezionare, con un test (in questo caso la mammografia ogni 2 anni), in una popolazione ben definita (solitamente donne di 50-74 anni) che non presenta sintomi, un piccolo gruppo di persone da sottoporre a successive indagini diagnostiche di approfondimento per stabilire se sono portatrici o no della patologia di cui si intende fare la diagnosi precoce. Lo screening non si effettua in persone che già abbiano sintomi o in cui la malattia sia evidente.
Molteplici studi hanno dimostrato che lo screening mammografico riduce la mortalità per cancro della mammella. Ciò nonostante la mammografia è uno strumento imperfetto e non ugualmente efficace in tutte le donne. La sensibilità media della mammografia nel diagnosticare il tumore della mammella è dell’85%. Tuttavia, nelle donne con mammelle a tessuto denso, la sensibilità della mammografia si riduce al 48-65%. Nonostante la densità mammaria si riduca con l’età, circa il 50% delle donne presenta un tessuto mammario in qualche modo denso. La ridotta capacità della mammografia risiede nella mancanza di contrasto tra il “bianco” del tessuto ghiandolare ed il “bianco” delle lesioni tumorali.
Quindi avere un risultato negativo ad un test di screening non significa automaticamente non essere affetti da quella malattia, così come avere un risultato positivo non si traduce in una diagnosi di cancro.